di Martino Chieffo | Gagarin 2010
Questo racconto è frutto di pura invenzione, ogni riferimento a persone, situazioni e locations è puramente casuale, oppure è un omaggio, fate voi…
Ancora in viaggio. Stanco morto. Esausto (ma poi di che? Dieci ore in ufficio davanti al computer senza pausa pranzo?). Senza sapere se sta andando o tornando. Andando o tornando dove, poi. Un posto, un angolo, suo. Verso la sua ridente town. Ormai è il viaggio il suo posto, il suo angolo. Ottuso. Su e giù ogni giorno, ridente town – Cesena, Cesena – ridente town… o viceversa. Si fotta.
L’Ipod a palla gli riempie la testa cercando di cacciar via le tette della bionda davanti.
Un regionale sporco, che corre nella campagna, sballottandolo, sballottando quelle tette.
Tobia alza il volume.
Bionda, abbronzata, con gli occhi verdi. Qui ci vuole dell’acqua che la gola è ormai secca. Immancabile bottiglietta da mezzo litro del pendolare. Presa al volo nelle macchinette della stazione lasciando li il resto che perdi il treno. Ciondola il ciondolo, sulle rotaie, due rotaie, due tette.
Highway to hell, tuonano gli AC/DC.
Chiude gli occhi, non sa più se è in treno o se sta guidando. Li riapre per sicurezza, anche perché quello che ha visto ad occhi chiusi gli piace troppo. Meglio non esagerare.
Sprofonda nel sedile poi si accartoccia in avanti. Coccolandosi nel vuoto nulla del viaggio, all’altezza di Forlì gli U2 gli ricordano che non ha ancora trovato quello che sta cercando. Come se ce ne fosse bisogno. Di ricordarselo. Come se avesse un senso. Cercare ancora.
Le ha tenute le mani del diavolo. Oh si. Erano calde nella notte, Bono, e lui era freddo come la pietra. Dopo.
Tobia. Angel or devil. Non è nessuno dei due, e perché poi dovrebbe scegliere?
Sceglie di richiudere gli occhi, per un momento. Per tornare indietro.
Un colpo di tosse. Un ragioniere che studia un cazzo di regime fiscale di sa cazzo che cosa.
Un povero leccabuste, ecco cos’è. Tobia un leccaculo con i caporali di turno. Non c’è poi tanta differenza. La stessa bocca amara. E lei con i piedi nudi sul sedile che guarda fuori dal finestrino. Con la custodia di un violino. A cosa pensa. Pensa talmente forte che Tobia non riesce a seguire il filo dei suoi di pensieri. Incrocia il suo sguardo e appoggia la testa sul sedile, di lato.
Dio. Tobia si sente un dio. Poi si sente un moscerino. E non sa cosa sia meglio. E non sa più chi è. Ma Dio sa lui chi è?
Vendi pure la tua anima
al primo che passa
non gli costerà molto
e se un giorno verrà Dio
a chiedertene conto
gli chiederai dov’era
quando l’hai venduta.
Tobia il pio. Tobia il fedele alla legge.
Ormai Tobia scrive solo in viaggio, è solo in viaggio che riesce a fermarsi.
Poesie, canzoni, racconti. Non sa neanche lui dove vuole arrivare. Mette insieme delle parole, le gira le rigira, copia e incolla. È la sindrome dell’impiegato che vorrebbe essere artista. E coltiva feticci. Ogni mese compra un quadernetto nuovo, un nuovo tipo di penna. Da scrittore. Vero. Come se dipendesse dal quaderno, dalla penna.
Ha già attraversato più volte tutte le fasi della vita di un’artista. Depressione, impeto creativo, alcolismo, frustrazione in attesa dell’idea. Tutte le fasi della vita di un artista. Senza esserlo.
Si avvicina la sua fermata, ancora non riesce a togliersi dalla testa che non è stato in grado di trovare un’idea per comunicare ai clienti il compleanno dell’azienda. Battuto sul tempo dalla stagista che, non avendo un cazzo da fare tutto il maledetto giorno lei, ha tirato fuori la genialata. Lei, alle sei meno dieci. E la assumeranno subito, lei, a fine stage mentre lui rimane co.co. pro. a vita. Front desk manager, centralino, dichenoncisono, fammiuncaffé, èfinitalacartaigienicanelcesso, Kunta Kinte… è una copertura, continua a ripetersi come un mantra, la ormai stanca scusa con cui non riesce neppure più ad autoconvincersi. Così sei più libero… libero di potersi proporre come copy free lance a qualche agenzia. Se porti qualche cliente un giorno poi ti facciamo anche scrivere. Non ne ha voglia di ciucciarsi clienti lui, non è un commerciale. Ha studiato comunicazione. Pur di scrivere, è riuscito a descrivere minuziosamente le sensazioni di una notte passata in un Bed & Breakfast calabrese, cullati dal canto delle cicale, calabre, senza averla neppure mai vista la Calabria. È riuscito a scrivere il retro di una confezione di detersivo. Ma si potrà? Un detersivo. La beffa di un cliché. Ah il mondo della reclame. La creatività. Scoprire che per portare i vacanzieri a Lido di Classe basta chiamarlo Milano Marittima Nord, questa è creatività. A quando Pinerella Sud/Tagliata? Ci vuol del pelo sullo stomaco a proporre escursioni andata e ritorno in giornata a Pisa, al casinò di Venezia o ai negozietti di San Marino per comprare il famoso Amaro San Marino, taroccato, ad una coppia di anziani in vacanza a Pinarella. La creatività romagnola. La motonave new gipsy…
Tra la bionda e il lavoro non è riuscito a buttar giù che poche righe.
Ecco è arrivato. Uno sguardo veloce alla bionda, sperando che scenda, e poi giù dal treno. Pigramente, senza più fretta, verso il divano letto che sembra aspettarlo in salotto. Forse ancora distratto, la prende larga. Si perde. Eppure la città sembra sempre la stessa, è sempre la stessa. È lei.
Però, superato l’angolo, ecco comparire la via di un’altra città, in cui è già stato, riconosce le vie, di tante città, Bruxelles, Amsterdam, Parigi, Bologna, Leuven, Belo Horizonte, ma la città è la stessa. Fosse un sogno l’avrebbe anche accettato. Ma così, da sveglio. Proprio non gli va giù. Non c’è una logica. Si è svegliato sicuramente, è sceso dal treno ed è uscito dalla stazione. Ne è certo. Chi è che lo sta facendo diventare pazzo, dove lo sta portando?
Chi è che lo chiama dalla folla?
Chi è che lo guarda con quegli occhi che fanno scomparire ogni cosa intorno?
Welcome back Tobia. Welcome back. Si, ma dove? Dove.
È lei. Ridente town. Si fotta.