L’attimo prima

Questo racconto è frutto di pura invenzione, ogni riferimento a persone, situazioni e locations è puramente casuale, oppure è un omaggio, fate voi

Vive da sempre ai margini della scena, sul palcoscenico si ma sempre in disparte. Costretta ad accontentarsi degli applausi finali, quelli dedicati a tutta la compagnia. Giulia, 35 anni. Vigile urbano, dimissioni per fare l’attrice. Ma poi non arrivano lavori. Quindi presentatrice in una TV locale, qualche serata qua e la, un po’ di coca ogni tanto e adesso, alla fine di tutto, a spasso. Da sette mesi ormai. The Circus left town. E tu sei scesa dal carro. Un’altra volta. L’attimo prima. Trucco pesante e tette strizzate o finto acqua e sapone da gatta morta?

Chissà cosa stanno cercando stasera, quei pochi che ancora potrebbero darle un po’ d’attenzione. Un’altra occhiata allo specchio e via, fuori, in strada, né troppo presto né troppo tardi. Che sia chiaro che lei dal pub ci passa per caso, come se stesse tornando da una cena con le amiche o andando ad una festa.

Ma poi dove cazzo vado a quest’ora che è aperto solo il biscuit, con quel cavernicolo che non smette mai di toccare con mano. Ci passa davanti, sperando che qualcuno la chiami. Scansiona i presenti con la coda dell’occhio. Rallenta impercettibilmente.

Ad un tavolino tre amiche già sbronze parlano ad alta voce mentre giocano a marafone con un vecchio. Una risata sguaiata le fa intuire l’argomento. Ce l’aveva grosso così. Ti giuro. E io mi son detta. Perché? Adesso questo dove lo metto? Altra risata scontatamente sguaiata. La loro grande burattinaia è nei pressi che posta su facebook le loro foto sgranate con l’I-phone. Un bicchiere rovesciato, una tetta di fuori, finiscono tra i caricamenti con il cellulare. Ma senza taggarla che il marito non veda. Il cavernicolo è li, che controlla tutte, con il bicchiere sempre pieno, fingendo di aver bevuto, per avere sempre una scusa. Per il resto, i soliti vecchi.

Giulia tira dritto, ancora sola e delusa. Vaffanculo, torno a casa. comincia a far freddo la sera, è finita l’estate. Attraversa la piazza, invasa da stranieri appesi al collo di bottiglie di marca indecifrabile. Solo una ragazzina. Bionda. Sola. Cammina veloce. Li in mezzo.

Dove andrà sta sfigata? pensano all’unisono incrociandosi. Si riconoscono a pelle. Stesso destino.

Mani in tasca, spalle strette, occhi sfuggenti. Lisa incrocia una rossa, passatella, a caccia sicuro, e attraversa la piazza piena di marocchini con passo nervoso. Il freddo intenso e secco le brucia le gote arrossate. È finita l’estate. Non c’è meta ai suoi passi. Una fuga, fine a se stessa. Si lascia dietro la piazza piena di stranieri, come lei, sospesi tra un posto e un altro. Come in una bottiglia. Senza speranza.

Cosa vuoi sperare a 21 anni, quando l’orizzonte è il palazzo grigio a quattro metri dalla finestra della tua camera. Il benessere non ci ha reso felici, solo depressi.

Sono stanca. Si ferma in un pub dove quattro amiche giocano a carte, una ride sguaiata, una, ed è l’attimo prima. squintata, le guarda e gioca con il cellulare. Un vecchio satiro scruta tutte. Capello unto, lungo. Barba incolta. Ogni tanto apre la bocca per fare qualche commento osceno. Una voce bassa, profonda. Da cavernicolo. Una vecchia baldracca sulle sue ginocchia.

Un vecchio professore più che ubriaco, completamente bevuto. Inebetito. Guarda il tavolo accanto al suo, non vede le persone sedute, vede solo i loro bicchieri. Aspetta che se ne vadano, finirà lui le loro birre. I suoi occhi incrociano per un attimo quelli di Lisa. Vuoti e lacrimosi.

Il fatto di vedere qualcuno messo peggio di lei non la consola. La rattrista solo. Forse aveva ragione mio padre che prima di morire diceva che quando è la fine è uno schifo. Sarà possibile che tutto debba finire così, in questo schifo? Un cristo in croce, senza Dio.

Un inglese a un tavolino pieno di bottiglie di vino vuote sfoglia le stampe pdf del giornale di domani. Panama sformato. Sigaretta mezza spenta all’angolo della bocca. Scuote la testa, bofonchia e con una matita corregge gli errori nei titoli. Turchini! grida nel cellulare ma chi ha corretto le bozze? Bozze, testi, errori, parole.

Ridi perché non sai, ancora non sai,
ridi perché non vuoi, ancora non vuoi,
ma già sai e già vuoi, ed è l’attimo prima.
Bevo il mio vino, ingoio il mio aceto,
voci slave coprono la mia.

Lisa riprende dalla tasca dei pantaloni il biglietto del treno stropicciato dietro cui ha scritto delle parole. Una canzone?

L’amore non esiste, l’amore è uno schifo. È quel numero di telefono su un post-it stropicciato. Rimasto sul frigo. Finisce la birra.

Riparte di scatto. Di nuovo in fuga. Il maglione blu a collo alto le sfrega la pelle e l’aria fredda la tiene sveglia. La stazione degli autobus non è un bel posto dove tirare l’alba. I soldi per una camera li avrebbe anche, forse l’ultima, ma non vuole fermarsi. In un posto. E come cazzo si chiama sto paesucolo? Ridente town. Cosa c’avrà poi da ridere.